Sono sempre di più le aziende che decidono di intraprendere un percorso virtuoso verso la sostenibilità ambientale, sulla scia anche della crescente sensibilizzazione generale al contrasto dei cambiamenti climatici.

Questo percorso molto spesso si traduce nella definizione di strategie di decarbonizzazione, mirate a raggiungere l’ambizioso obiettivo della Carbon Neutrality, ovvero dell’azzeramento o compensazione delle emissioni di CO2.

Perché molte aziende decidono di raggiungere la Carbon Neutrality?

Abbiamo già trattato questo tema in un articolo che puoi leggere qui, e nel quale abbiamo spiegato perchè, in estrema sintesi, è tutta una questione di marketing!

Le aziende che decidono di intraprendere strategie climatiche lo fanno infatti principalmente per acquisire un posizionamento più competitivo sul mercato, per raggiungere nuove fasce di consumatori, per differenziarsi dai loro concorrenti, in una parola per vendere di più.

Tutto questo va benissimo e, anzi, per fortuna che questa tendenza è in atto, perché tutti abbiamo capito bene in questi anni quanta differenza possa fare davvero il settore privato nel contrasto ai cambiamenti climatici.

Ma ciò genera un nuovo tipo di problema, o comunque un aspetto di attenzione molto rilevante: il greenwashing.

Cos’è il greenwashing?

Se ne parla tanto ultimamente, spesso e volentieri anche in modo confuso ed errato.

Quindi crediamo sia molto utile fare chiarezza su cosa si intende con il termine greenwashing.

Secondo Wikipedia “Greenwashing, neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata, indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni settanta.”

Fondamentalmente questo significa che, trattandosi di investimenti completamente volontari e finalizzati nella maggior parte dei casi a innovare i processi di marketing e comunicazione, le strategie climatiche di molte aziende purtroppo non sono poi così “corrette”.

Ovvero, si traducono in iniziative che non generano ricadute concrete e significative sul contrasto ai cambiamenti climatici e sulla tutela dell’ambiente, ma spesso generano ricadute concrete e significative sui conti dell’azienda.

A questo punto la domanda sorge spontanea.

La Carbon Neutrality è greenwashing?

Le strategie di decarbonizzazione di molte aziende possono essere sicuramente incluse all’interno del greenwashing, ovvero di una falsa comunicazione ambientale.

Questo avviene quando l’azienda in questione, che dichiara di essere diventata Carbon Neutral (e magari applica anche un bel logo che lo certifica sui prodotti che vende, o sul sito web), in realtà:

  • non ha posto in essere una strategia concreta di riduzione delle emissioni di CO2
  • non ha misurato correttamente la sua impronta climatica prima dell’attuazione della strategia
  • non monitora costantemente i benefici ottenuti dalla sua strategia in termini di riduzione delle emissioni di CO2
  • non certifica i risultati ottenuti attraverso un ente terzo indipendente riconosciuto a livello internazionale

In tutto questo i Crediti di Carbonio giocano un ruolo fondamentale.

Molte aziende, infatti, decidono di raggiungere la Carbon Neutrality acquistando Crediti di Carbonio per compensare le proprie emissioni di CO2, senza aver prima messo in piedi una strategia di riduzione delle stesse. Quando questi Crediti provengono da progetti certificati dagli Standard Internazionali che riducono, evitano o assorbono le emissioni di CO2 in un Paese in Via di Sviluppo, ci sono comunque due aspetti da considerare:

  1. una tonnellata di CO2 rimossa dall’atmosfera in Brasile, per esempio, ha lo stesso effetto a livello globale di una tonnellata di CO2 non emessa in Italia, quindi andrebbe anche bene ma
  2. a livello complessivo il bilancio di un’operazione di questo tipo è pari a zero; quindi non comporta un reale beneficio rispetto allo scenario alternativo (a meno che non si possa proprio dimostrare che in assenza di quell’operazione la tonnellata di CO2 in Brasile non sarebbe stata rimossa)

Il discorso cambia quando i Crediti di Carbonio acquistati dalle aziende non sono certificati, o addirittura non sono “reali”.

In questi casi siamo senza alcun dubbio nel campo del greenwashing più spinto.

L’importanza della certificazione dei Crediti di Carbonio

La certificazione delle attività di mitigazione dei cambiamenti climatici è uno strumento fondamentale per garantire la credibilità e la solidità delle dichiarazioni di riduzione delle emissioni di gas serra.

Sebbene vi siano ancora preoccupazioni sul modo in cui la compensazione delle emissioni di CO2 viene utilizzata dalle organizzazioni, i mercati dei Crediti di Carbonio continuano a crescere, imparano dai fallimenti passati, innovano e si sforzano di rimanere uno strumento rilevante per incanalare i finanziamenti in modo diretto ed efficace per premiare gli sforzi di mitigazione.

Chiunque può affermare di aver investito in operazioni che riducono o evitano le emissioni di gas serra, allo stesso modo chiunque può affermare di produrre materie prime biologiche o di pagare ai propri agricoltori un salario adeguato.

Senza una terza parte indipendente che certifica che queste affermazioni siano accurate, spetta all’acquirente fidarsi del venditore che le sue affermazioni siano trasparenti e realistiche. Senza certificazione, i Crediti vengono spesso sottovalutati e successivamente venduti a un prezzo inferiore.

Con un numero crescente di organizzazioni che affermano che i progetti o le attività che supportano riducono o rimuovono la CO2, il ruolo della certificazione è quello di conferire credibilità e solidità a queste affermazioni. Gli standard di certificazione del carbonio agiscono come terze parti indipendenti che garantiscono la credibilità di un progetto e proteggono gli acquirenti (in questo articolo ti spieghiamo quali sono i principali Carbon Standard a livello internazionale).

A seconda della posizione del progetto, della tecnologia, delle dimensioni e dello standard di certificazione, le compensazioni di carbonio di un progetto possono essere vendute ai mercati regolamentati e/o volontari del carbonio. La maggior parte dei progetti che generano Crediti di Carbonio venduti sui mercati volontari si svolge nei Paesi in Via di Sviluppo, offrendo grandi opportunità per fornire i finanziamenti tanto necessari e il supporto per lo sviluppo sociale ed economico.

Quindi le aziende che decidono di compensare le loro emissioni residue attraverso l’acquisto di Crediti di Carbonio certificati dagli Standard internazionali possono dimostrare che questa operazione:

  1. porta dei benefici in termini di contrasto ai cambiamenti climatici reali, addizionali, verificabili, misurabili, permanenti e unici (come ti abbiamo spiegato in questo articolo)
  2. porta inoltre una serie di co-benefici in termini di impatto sociale ed economico per le comunità dei Paesi in Via di Sviluppo in cui i progetti sono stati realizzati

Tutte le altre aziende stanno semplicemente facendo greenwashing! Ma non sono le sole.

Chi fa greenwashing?

In base a quanto detto, è evidente che un’azienda che acquista Crediti di Carbonio non certificati per potersi dichiarare Carbon Neutral sta facendo greenwashing.

Ma è altrettanto evidente che anche l’azienda che vende questi Crediti di Carbonio fa greenwashing, o per essere ancora più chiari sta perseguendo una pratica commerciale scorretta e ai limiti della legalità.

Infatti, il grande problema alla base di questo fenomeno è che chi compra (l’azienda che vuole essere Carbon Neutral, il consumatore che acquista i prodotti dell’azienda) spesso non conosce la differenza tra greenwashing e green marketing, non sa neanche cosa siano i Crediti di Carbonio e che differenza ci sia tra quelli certificati e gli altri. Ma chi li vende, sa benissimo la differenza. E sulla base di questa consapevolezza inquina il mercato, vendendo ad aziende, che magari vorrebbero anche intraprendere strategie virtuose, un prodotto che non rispetta i requisiti dichiarati. E anche se l’azienda cliente dovesse poi rendersene conto, l’investimento è già stato fatto e non può certo essere riallocato su un prodotto alternativo. Con il risultato che perde l’opportunità di sostenere un progetto che concretamente sta portando benefici in termini di contrasto ai cambiamenti climatici e di sostegno alle comunità svantaggiate, a favore invece di un progetto che porta benefici solo all’azienda che lo ha venduto.

Quindi il primo ostacolo da superare nella lotta al greenwashing è proprio la conoscenza e l’informazione.

E questo non vale solo per le aziende, ma anche e soprattutto per i consumatori.

Come si può riconoscere ed evitare il greenwashing?

Va detto che alcuni passi importanti in questo senso si stanno già facendo a livello istituzionale.

In particolare, a novembre 2021 il Tribunale di Gorizia ha emesso la prima storica sentenza in materia di greenwashing, costringendo un’azienda italiana a rimuovere dal proprio sito web e dai propri prodotti le diciture ingannevoli in termini di tutela ambientale.

Inoltre, la Commissione Europea sta studiando un regolamento comune sulle tematiche della comunicazione ambientale, che dovrebbe essere pronto a marzo 2022.

Ma, come spesso accade, la vera differenza per riconoscere e contrastare le pratiche di greenwashing la può fare solo il consumatore.

Siamo noi infatti che, quando acquistiamo un prodotto o un servizio da un’azienda piuttosto che da un’altra, possiamo premiare chi persegue veramente strategie virtuose, e soprattutto punire chi non lo fa.

Questo richiede però un cambiamento nei nostri processi di acquisto, che deve essere ispirato e guidato dalla ricerca di informazioni e dall’approfondimento delle fonti.

In sostanza, il consumatore che volesse fare davvero qualcosa per riconoscere e contrastare il greenwashing dovrebbe compiere questi 5 passi:

  1. privilegiare nei suoi acquisti di prodotti e servizi quelli offerti da aziende che dichiarano di perseguire una strategia di decarbonizzazione: questo lo si può fare facilmente anche grazie alle etichette o alle indicazioni “Carbon Neutral” riportate sulle confezioni dei prodotti o sui certificati di acquisto dei servizi (ad esempio, i biglietti aerei)
  2. verificare attentamente qual è la strategia di decarbonizzazione dell’azienda in questione: queste informazioni sono solitamente riportate sui siti web o all’interno dei report di sostenibilità, chi si dichiara Carbon Neutral ma non fornisce informazioni in merito sta semplicemente facendo greenwashing
  3. verificare se questa strategia prevede innanzitutto misure serie per la riduzione delle emissioni di CO2: anche in questo caso, un’azienda virtuosa non dovrebbe avere problemi a comunicare le proprie strategie climatiche, anzi spesso e volentieri le valorizza abbondantemente
  4. verificare l’affidabilità delle eventuali strategie di compensazione delle emissioni residue: se le misure di riduzione non sono sufficienti a raggiungere la Neutralità Climatica l’azienda può acquistare Crediti di Carbonio e deve comunicare in modo preciso l’entità e la provenienza dei certificati acquistati a questo scopo
  5. verificare la qualità dei Crediti di Carbonio acquistati dall’azienda: per farlo è sufficiente cercare i progetti di compensazione che l’azienda dichiara di sostenere sui registri dei Carbon Standard internazionali (ad esempio quello di Verra per i progetti forestali o quello di Gold Standard per i progetti basati sulle comunità), e verificare innanzitutto su questi progetti esistono e poi se le informazioni fornite dall’azienda corrispondono alla realtà 

È chiaro che queste attività richiedono un po’ di tempo e soprattutto la volontà di conoscere meglio una materia che può anche essere ostica. Ma va da sé, per tutto quello che abbiamo detto, che un consumatore che acquista prodotti o servizi Carbon Neutral solo per “pulirsi la coscienza” e senza verificare l’attendibilità di questa informazione, sta anche lui facendo greenwashing!

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